sabato 19 luglio 2008

Filosofia e Religiosità di Scientology - Parte terza

...continua dalla seconda parte

MEISTER ECKHART (1260 - 1327)

Rimanendo sempre nel XIII secolo, periodo in cui l'aristotelismo era indubbiamente l'ideologia dominante, incontriamo un'altra importante figura della filosofia cristiana sull'anima: il domenicano tedesco Johannes Eckhart von Hochheim, meglio conosciuto come Meister Eckhart (in italiano: Maestro Eckhart), ritenuto uno dei più importanti filosofi e teologi della cosiddetta mistica72 speculativa cristiana.

L'anima secondo Eckhart consiste in:

1. Potenze, cioè le facoltà intellettive, come ad esempio l'intelletto, la volontà, la memoria.73 Elementi esteriori, sotto il dominio dello spazio-tempo.

2. Immagini creaturali, cioè le immagini attraverso cui operano le potenze. Hanno origine dall'egoità, o forza appropriativa (in tedesco eigenschaft): l'ego, il legame al proprio io, al proprio egoismo.

C'è però nell'anima quello che Eckhart chiama:

3. Il fondo dell'anima.74

È questa l'essenza dell'anima, è la "parte"75 più pura e più intima dell'anima, è l'essere dell'anima, distinto dalle sue potenze, è il "luogo" dell'anima che è capace di accogliere Dio soltanto e in cui Dio solo può entrare.

Qui è dove il termine anima non è più sufficiente, qui è dove l'anima diventa Spirito.

Anche le più elevate potenze dell'anima, ovvero l'intelletto, la volontà, la memoria, non possono neppure gettare uno sguardo nel fondo dell'anima, perché anch'esse, nel loro operare (conoscere, amare, ricordare), hanno bisogno della mediazione delle immagini, mentre l'essenza dell'anima non può essere toccata tramite mediazioni. Non ha alcun bisogno di immagini.

Qui è dove avviene ciò che Eckhart chiama il "distacco": "L'anima esce da se stessa e Dio entra in essa". Il distacco è essenzialmente una conoscenza, è l'operazione conoscitiva attraverso la quale l'uomo è in grado di conoscere Dio nel fondo della propria anima.

Il fondo, l'essenza dell'anima dunque altro non è che l'imago Dei, l'immagine di Dio nell'anima stessa. Attraverso il distacco, il divino diventa umano e l'umano diventa divino.

Nel fondo dell'anima avviene, dice Eckhart, la "generazione" del Logos (Figlio, equivalente a Spirito). Si tratta dunque della "generazione" dello Spirito ovvero dell'esperienza dello spirito nello Spirito. Si realizza, in altre parole, la nascita di Dio in noi.

Con il distacco, si avvia quindi quel processo di cristificazione di cui parla anche Paolo: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me".76

È qui che si scopre davvero come conoscenza di sé e conoscenza di Dio siano la stessa cosa. L'anima è spirito come Dio è spirito.77

I due non sono più due, ma uno nello spirito (unitas spiritus). Unione profonda di conoscenza e di amore, che insieme rendono l'anima "semplice" e insieme danno la possibilità di "generare", cioè di creare, moltiplicare la creazione.

L'anima prende il proprio essere direttamente da Dio, e perciò Dio è più vicino all'anima di quanto essa lo sia in se stessa, e perciò Dio è nel fondo dell'anima con tutta la sua divinità.78

Unione con Dio non significa divinizzazione dell'io personale, bensì la sostituzione di esso con il vero io, che giace per così dire nascosto nel fondo dell'anima. Riprendendo la dottrina agostiniana, Eckhart conferma che Dio è intimamente presente nell'uomo, anzi, ne è la più profonda intimità e realtà. L'anima è imago Dei, immagine di Dio. L'anima è fatta secondo Dio stesso. L'essenza, ovvero il fondo dell'anima, è l'immagine di Dio nell'anima. Eckhart, in perfetta sintonia con Agostino, afferma che Dio penetra nell'anima ed è a lei più intimo di quanto lo sia a se stessa. L'anima esce da se stessa, cioè dalle sue potenze, dalle immagini, dalla sua egoità, e Dio entra in essa, cioè nel fondo dell'anima.

La conoscenza di Dio genera, a sua volta, conoscenza di sé, ma non si tratta di conoscenza nel senso oggettuale, bensì di un conoscere che è un essere la cosa stessa. Non si tratta di credenza o non credenza, o della questione dell'esistenza di Dio o simili, si tratta dell'essere, o del non essere, dello spirito: movimento dell'io a Dio e di Dio all'io, ove i due (anima e Dio) non sono più due ma uno (Anima-Dio). Il divino diventa umano e l'umano diventa divino.

Solo grazie alla scintilla divina che l'uomo ha in sé, egli è in grado di sollevarsi al di sopra di ogni attività sensibile ed intellettuale, alla contemplazione.

La contemplazione è paradossalmente una non-conoscenza, una condizione di cecità, un non-sapere; ma essa solo è il possesso, il godimento della verità, essa sola è la fede.

L'anima scopre Dio nella radicale negazione di ogni essere e di se stessa, al di là di ogni discorso, in un contatto immediato che si realizza nel fondo dell'anima: condizione di questo cammino verso Dio è vedere "tutte le cose e noi stessi come un puro nulla"; suo esito è la rinascita dell'uomo in Dio, o addirittura, come accade ai mistici e santi, l'unione totale con Dio.

La vera fede, per Eckhart, non è credenza ma conoscenza. È conoscenza dello spirito nello Spirito. È il raggiungimento della realtà ultima dell'anima e di Dio nella loro identità. La fede rivela all'uomo che la deità di Dio e la sostanza dell'anima coincidono, sono identiche.79

L'insegnamento eckhartiano rappresenta la sintesi filosofica della sapienza classica platonica e di quella cristiana alla fine del medioevo. Per fornire un ulteriore aiuto alla comprensione del lettore, esso può essere così schematicamente riassunto:

  1. Dio e l'anima sono la stessa cosa. Dio è spirito ed anche l'uomo, la sua anima sono essenzialmente spirito.
  2. Conoscenza di sé e conoscenza di Dio sono la stessa cosa. Non vi può essere una ricerca sull'anima che non sia ricerca sulla verità in sé, sul valore in sé, dunque su ciò che chiamiamo Dio.
  3. Il sapere dell'anima si acquisisce scendendo nel profondo dell'anima, al di là delle radici egoistiche dell'io, al di là del mero psichismo.80
  4. Il profondo, il fondo dell'anima, che è comunque un fondo senza fondo, è ben distinto dalle sue potenze. Non è un luogo dell'anima, ma il suo vero essere. Il fondo dell'anima è l'atto più profondo di amore e conoscenza, nel quale si conosce/genera il Logos, Dio e insieme noi stessi.
  5. Il distacco è il momento essenziale dello spirito: gioia profonda, esperienza del presente come eterno. Il momento essenziale della vita dello spirito è la riflessione, la consapevolezza del finito, la negazione ovvero il distacco appunto, che è lo spirito stesso. Esso è gioia profonda, trasfigurazione luminosa di tutta la realtà, esperienza del presente come eterno. Questo distacco è fare il vuoto, liberarsi da tutte le opinioni, accettando lietamente il presente come un dono. Echhart chiama Dio "supremo distacco".

Il mistico domenicano mette l'accento, inoltre, sul fatto che l'apprendimento di questa condizione dello spirito può essere raggiunta solitamente dopo lunghi anni di esercizio e la paragona all'apprendimento della lettura e della scrittura. Sebbene per quei tempi (come ai nostri) la preghiera contemplativa era fortemente diffusa nella popolazione, la radicalità delle sue affermazioni lo portarono al conflitto con la curia romana. Il che non desta sorpresa, se si confrontano le tesi eckhartiane con quelle assai diverse, ad esempio, della dottrina tomistica dello stesso periodo.

È comunque proprio grazie al contributo filosofico di Meister Eckhart che possiamo ora concepire e comprendere una ulteriore, illuminante semplificazione della definizione di filosofia e della definizione di religione, anzi una vera e propria sintesi tra filosofia e religione. Cioè, quelle che potremmo chiamare le definizioni essenziali di filosofia e religione:

Filosofia è esercizio della ragione alla ricerca solo e soltanto della Verità.

Religione è orientamento allo Spirito, cioè a Dio, ovvero all'Assoluto, ed ad esso soltanto.81

Il pensiero di Eckhart riconduce la religione nell'alveo della filosofia, dopo che quest'ultima era stata relegata, soprattutto da Tommaso d'Aquino, al ruolo servile di semplice ancella della teologia. La filosofia riconquista la sua funzione di "medicina dell'anima".82 Risorge come "esercizio spirituale", volto ad un mutamento di vita, ad una liberazione dalla alienazione causata dalle passioni, e dunque, essenzialmente, ad un distacco dall'individualità egoistica ed a un ritorno dell'Io a se stesso, alla Verità che abita in interiore homine, come diceva Agostino.

Eckhart afferma infatti che i filosofi pagani conobbero la verità prima del Cristianesimo (sermone 36); che, nell'essenziale, la scrittura e la filosofia sono in accordo; che Mosè, Cristo ed il filosofo greco insegnano le stesse cose; che i maestri pagani conobbero la virtù meglio di San Paolo, perché la conobbero per esperienza e non per grazia ricevuta dall'alto (sermone 86).83

E la religione non è un complesso di credenze e di dogmi. La religione è veramente e solamente religio, cioè legame spirituale, non più superstizioso e mitologico, tra uomo e Dio: unitas spiritus, unità dello spirito.

Essere Dio, diventare Dio: questo il linguaggio che il mistico non teme di usare, ben consapevole che non si tratta di uno sciocco e blasfemo elevarsi al rango dell'Ente supremo, come le menti rozze possono credere, bensì, al contrario, di farsi nulla, annientarsi in quanto egoità (eigenshaft) e così riconoscersi come spirito, ovvero spirito nello Spirito.84

Nonostante l'opera mistica eckhartiana sia da considerarsi per molti versi anomala nel panorama generale della dottrina cristiana e nonostante la sua opera abbia subito una dura condanna ecclesiastica, egli tuttavia è stato e rimarrà sempre la figura forse più rappresentativa e normativa della spiritualità cristiana.85

Meister Eckhart ha infatti profondamente segnato la storia del pensiero filosofico occidentale, influenzando alcuni dei più grandi filosofi successivi, quali ad esempio Cusano, Spinoza, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche.

A noi, uomini e donne spesso trascinati dal vorticoso fiume dei tecnicismi e psicologismi del XXI secolo, insegna, dalla profondità e dalla semplicità della sua filosofia mistica medievale, che non ci può essere una vera religione se non vi è anche religiosità.86 La religione, senza la religiosità dei suoi fedeli, è un mero fenomeno di costume sociale. È forma senza sostanza, cioè solo formalità, esteriorità.

Al contrario, quell'orientamento allo Spirito, che dovrebbe costituire la sola base normativa per distinguere ciò che è religioso da ciò che non lo è, non può che essere essenzialmente un atto religioso prima di tutto individuale, personale, intimamente e solamente "mio". Quando scendo (o mi elevo) nel fondo dell'anima per ritrovarvi la Verità, non sto adorando un oggetto, una divinità-altra, un idolo, un ente trascendente, sto semplicemente cercando la verità della mia natura divina e, così facendo, sono mosso da un mio sentimento di religiosità. Sono, in altre parole, affrancato da qualsiasi mediazione sociale. Sono filosofo religioso, uomo spirituale. È questa la vera esperienza del divino non come oggetto, ma come soggetto, cioè come spirito.

La religiosità è ciò che crea la vera religione. E non viceversa.

LA PERSECUZIONE E REPRESSIONE DEL PENSIERO MISTICO

Il XIII secolo in Europa è dunque il secolo che vede un grande sviluppo della filosofia mistica cristiana, soprattutto grazie al pensiero di Meister Eckhart. È il secolo della Divina Commedia di Dante Alighieri, è il secolo di San Francesco d'Assisi (1181-1226) e dei suoi fraticelli che predicano la povertà e l'umiltà. È il secolo di Giotto e dei suoi sublimi capolavori.

Tuttavia è anche il secolo in cui papa Innocenzo III ordina la crociata contro le popolazioni catare, di fede gnostica, nella Francia meridionale, rendendosi così colpevole di uno dei più efferati crimini contro l'umanità: lo sterminio di un milione di fratelli cristiani seguaci della eresia catara.

Non si salvarono neppure quei pochi catari che erano riusciti a fuggire in Italia e si erano insediati a Sirmione sul lago di Garda. Il 13 febbraio del 1278, duecento di loro vennero bruciati vivi nell'arena di Verona, solo perché colpevoli di professare principi gnostici non conformi alla dottrina della Chiesa. Fu quella la più grande esecuzione, in numero di vittime, mai avvenuta per eresia in un sol giorno nella miserabile storia dell'Inquisizione italiana.87

È questo infatti il secolo in cui viene fondata da papa Gregorio IX la "santa" Inquisizione, allo scopo di meglio perseguire e sopprimere tutte le forme di eresia, cioè di deviazione dalla dogmatica ufficiale. E la cui gestione è affidata all'ordine dei domenicani, da allora sarcasticamente soprannominati Domini canes, cani di Dio.

Lo stesso santo e dottore angelico domenicano Tommaso d'Aquino scriveva nella sua Summa theologiae queste parole:

Per quanto riguarda gli eretici, questi si sono resi colpevoli di un peccato che giustifica il fatto che essi vengano non solo estromessi dalla Chiesa attraverso la scomunica, ma anche allontanati da questo mondo per mezzo della pena di morte....88

Anche la mistica eckhartiana fu condannata come eresia.89 A partire dal XIII secolo, vennero inquisiti e condannati tutti coloro che avevano professato idee simili a quelle di Eckhart: Margherita Porete, Teresa d'Avila, Fenelon, Madame Guyon, Angelus Silesius, Miguel de Molinos e molti altri mistici che avevano osato cercare Dio nel profondo della loro anima. I loro libri bruciati dall'Inquisizione.

Il 18 novembre del 1302 veniva pubblicata la bolla Unam Sanctam di papa Bonifacio VIII, nella quale si stabiliva che la Chiesa cristiana è unica e al di fuori di essa non c'è salvezza.90

Il Concilio Ecumenico XV, che si tenne tra il 1311 e il 1312, nella cittadina di Vienne in Francia, promulgò il decreto Fidei catholicae fundamentum (Fondamento della fede cattolica), con cui vennero dichiarati eretici e condannati al rogo i Cavalieri Templari91 e nel quale fra l'altro si legge:

... definiamo che chiunque oserà affermare, difendere o sostenere con ostinazione che l'anima razionale o intellettiva non è la forma del corpo, debba essere ritenuto eretico.92

Dopo il Concilio di Vienne, dunque, l'anima viene sempre più inchiodata al corpo, sempre più ridotta nella sua dimensione spirituale e sempre più incarnata nella sua realtà terrena, corporea, umana, aristotelica.

Proprio a causa di questa feroce repressione del pensiero mistico, dal sec. XIII in poi, si crea una visione della realtà intimamente dualistica, con una distanza sempre più accentuata tra naturale e soprannaturale, umano e divino.

Nei secoli successivi, la Chiesa riafferma l'alterità, la trascendenza di Dio: non un Dio che risiede nel fondo dell'anima umana, come "ereticamente" proposto da Eckhart, ma un Dio come ente separato e distinto, un ente creatore e pre-esistente al mondo, Dio come Altro, lui lassù e noi quaggiù, e nel quale si debba credere e da cui deriva la sola possibilità di salvezza.

L'anima non è più vista come spirito, bensì come un'entità oscura, indefinibile, relazionata al corpo, fusa e confusa con esso, non separabile dalla sua realtà corporea, e la cui salvezza può avvenire solo accettando ed osservando scrupolosamente i dogmi sanciti dalla dottrina ufficiale.

Viene respinta la filosofia del fondo dell'anima di Eckhart e l'attenzione si sposta sempre di più solo sulle "potenze" dell'anima, dando alla religione, nei secoli successivi, in tutta l'Europa, una veste sempre meno spirituale e sempre più moralistica, assolutistica e dogmatica.93

Con la persecuzione e la repressione della visione mistica dell'anima umana, si rinforza la religione come fenomeno di coesione sociale, ma si indebolisce la religiosità come sentimento individuale. Preparando così un fertile terreno per l'avvento del moderno psicologismo94 laicista, che rappresenta così, per sua stessa definizione, non solo la morte dell'anima, ma anche la morte della filosofia.95

COINCIDENZE E SOMIGLIANZE TRA MISTICA CRISTIANA E MISTICA INDUISTA

L'Induismo è senza alcun dubbio la più antica delle religioni oggi presenti nel mondo, con radici che si perdono nelle origini stesse della religiosità: i Veda,96 inni e preghiere risalenti ad un periodo probabilmente compreso tra il secondo e il primo millennio a.C., e tramandati oralmente da una generazione all'altra, come patrimonio esclusivo degli antichi sacerdoti brahmanici.97

Il termine sanscrito Veda indica la conoscenza (vidya), la visione (latino video, greco oida), ossia un sapere che consente di vedere la verità del divino e di identificarsi con essa, raggiungendo la libertà e la salvezza. L'uomo senza conoscenza è come una rana in uno stagno asciutto, prosciugato.

L'oggetto di questa conoscenza è per l'induismo il Dharma: il fondamento dell'universo, il principio che governa il mondo, l'armonia segreta del fluire del cosmo. L'insegnamento del Dharma spetta al sacerdote, al guru; la sua difesa al sovrano.

Alla base del Dharma, la conoscenza che salva è il ri-conoscimento che il proprio spirito (atman) o Sé individuale non è altro che lo Spirito divino, universale (Brahman). Lo scopo della religione non è altro che risvegliare quella coscienza del divino che è in noi, consentendo al fedele devoto di ritornare nel Tutto, ossia in quello stato nativo, in quella condizione primigenia, in quel principio spirituale da cui egli è derivato, e in cui era prima del suo tempo terreno.

Attraverso questo ritorno, questa conoscenza, il fedele perde finalmente l'illusione di essere un sé individuale e umano, ritrovando la beatitudine della sua identità universale e divina, nell'unione con il Tutto. Brahman e atman sono i due nomi della verità, due prospettive di un'unica realtà.

In verità questo grande e increato atman, senza vecchiaia, senza morte, immortale, privo di timore, è il brahman. In verità il brahman è felicità e diventa il brahman stesso, che è felicità, colui il quale così si conosce.98

Colui il quale venera una divinità considerando che essa sia altra da sé: "altri è il dio, ed altri sono io", costui non sa. Per gli dei egli è come una bestia.99

Così come diceva il mistico cristiano Eckhart:

Chi ha il proprio essere in Dio, ha pace; chi lo ha fuori di Dio, non ha pace.100
Molta gente semplice immagina Dio lassù e noi quaggiù. Ma non è così: Dio e io siamo una cosa sola.101

Un altro capolavoro mistico dell'India è ritenuto la Bhagavad-Gita, ovvero il Canto del beato, probabilmente risalente al II secolo a.C., costituito da un dialogo tra l'eroe Arjuna e il dio Krishna alla vigilia di una grande battaglia per la conquista del regno.

Arjuna, pur essendo un valoroso guerriero, è sconfortato soprattutto nella prospettiva di dover uccidere in battaglia quelli che, seppur avversari, sono suoi parenti e sono stati, un tempo, suoi maestri. Il dio Krishna, personificato nell'auriga che conduce il carro da guerra di Arjuna102, gli parla e gli presenta i suoi insegnamenti, rivelandogli i suoi misteri e concedendogli infine la visione della sua "natura ultima che comprende tutte le forme".

Non ci fu un tempo in cui Io non esistessi, né tu, né questi guerrieri: e nessuno di noi in avvenire cesserà di esistere.103
Ciò che non esiste non può giungere ad essere; ciò che esiste non può cessare di essere. Chi coglie l'essenza della verità comprende entrambe le cose.104
Sappi che ciò che pervade questo universo è immortale. Nessuno può determinare la distruzione di quello, che è inestinguibile.105

Arjuna, seppur sbigottito da una simile visione, comprende di essere strumento ma anche artefice di un grandioso destino, cosmico e divino. Con mente pura e distaccata, si avvia dunque alla battaglia.

Considerato libro sacro dell'Induismo, alla pari con i Veda, la Bhagavad-Gita costituisce una esposizione delle diverse vie indù di salvezza, principalmente la bhakti106, cioè quel rapporto di fede, amore, devozione verso il divino, che conduce appunto alla liberazione (moksa) dalle catene che legano il sé interiore dell'uomo alla materialità dello spazio e del tempo. Questo processo di liberazione dunque presuppone necessariamente un graduale distacco dal mondo illusorio dei sensi (maya), dagli intralci che formano la natura del mondo, del male, della sofferenza, del non-sapere. Per sfuggire al ciclo delle rinascite, liberandosi definitivamente del karma107. Fino al raggiungimento di uno stato di libertà totale che è unione (yoga) con la divinità.108

Si possono evidenziare molti parallelismi tra la visione mistica induista e quella cristiana109, ma basti qui sottolinearne i principali:110

L'identità tra spirito incarnato nel soggetto umano (atman) e lo spirito divino, universale (brahman) è il cardine principale sia della mistica induista che di quella di Eckhart (il fondo dell'anima): tutto è in Dio, tutte le creature sono nell'Essere, fuori dal quale nulla è. Ciò è del resto in strettissimo parallelo con il principio agostiniano per cui l'uomo si trasforma in quello che ama: in terra se ama la terra, in Dio se ama Dio.111

La dottrina della salvezza, della liberazione (bhakti, moksa) della Bhagavad-Gita è identica a quella del distacco della mistica cristiana di Eckhart.

Induismo e mistica cristiana sono entrambi esperienza del divino presente nell'uomo. Esperienza cioè dello spirito nello Spirito.

La condizione di beatitudine che il dio Krishna descrive al suo discepolo è identica alla beatitudine di cui gode l'uomo nobile di Eckhart, l'uomo cioè che esercita il distacco dall'egoità, che discende nel profondo di se stesso e vi coglie l'unità profonda tra uomo e Dio:

Colui nel quale tutti i desideri penetrano come le acque nel mare, che, pur essendone riempito da tutte le parti, resta però immutabile, raggiungendo la pace - l'uomo che agisce senza attaccamento, abbandonando i desideri, distaccato dal proprio ego, senza orgoglio, senza vanità, costui non si smarrisce più nell'illusione, ma raggiunge la beatitudine divina dello spirito.112

In strettissima analogia con le parole di Meister Eckhart:

L'anima conosce Dio quando è una sola cosa con lui e con l'essenza divina. E questa è la vera beatitudine, che l'anima abbia vita ed essere con Dio. E questa è la conoscenza di Dio, che toglie via ogni altra conoscenza ed essere. L'anima conosce se stessa e nessun'altra cosa se non se stessa in Dio, e Dio in lei, e in lui tutte le cose. Tutto quel che è in Dio, essa lo conosce insieme a lui, ed opera con lui tutte le sue opere. Allora non è niente, non sa niente, se non se stessa in Dio e Dio in lei.113

Il concetto induista del ritorno all'Uno del resto, è presente in tutta la filosofia mistica neoplatonica-agostiniana, non solo in Eckhart. Basti ricordare, fra gli altri, lo spagnolo Giovanni della Croce, in quella che egli chiamò "estasi cosmica", ovvero il riconoscimento dell'identità del Tutto, e dunque del divino in tutto il cosmo e in tutti gli esseri, che tutti sono in Dio:

Miei sono i cieli e mia la terra; miei sono i popoli; miei sono i giusti e miei i peccatori, miei sono gli angeli e mia la Madre di Dio; tutte le cose sono mie e Dio stesso è mio e per me, poiché Cristo è mio e tutto per me.
Cosa chiedi dunque e cosa cerchi, anima mia? Tutto ciò è tuo e tutto è per te.
114

COINCIDENZE E SOMIGLIANZE TRA MISTICA CRISTIANA E MISTICA BUDDISTA

Il buddhismo ebbe origine in India nel VI secolo a.C., quasi come una forma di "dissidenza" religiosa e filosofica nei confronti della tradizione sacra della rivelazione contenuta nei Veda. Esso negava l'esistenza di dei personali e di un principio assoluto e riconosceva l'origine del dolore e della sofferenza nell'attaccamento al mondo, nel desiderio, nella cupidigia, in quella sete causata dalle passioni umane che non può essere soddisfatta nemmeno dall'ottenimento delle stesse cose che si desiderano.

La salvezza è invece nel cessare, nell'estinguere questa sete. La salvezza è distacco dall'egoismo, dall'avidità e dalle abitudini nocive. Questo distacco è frutto della conoscenza, così come invece il male, il dolore, l'attaccamento è frutto dell'ignoranza.

La conoscenza dunque, ancora una volta, è la chiave della liberazione, proprio perché la conoscenza "distacca". La via del risveglio, dell'illuminazione115 fu dunque anche per Buddha la via del distacco, cioè quella via della contemplazione distaccata, che abbiamo già incontrato nella Bhagavad-Gita e nella dottrina mistica di Eckhart.

E che ritroviamo nello stesso atteggiamento contemplativo del monaco buddista, il quale

... giunge a guardare il proprio corpo con assoluto distacco, come cosa estranea a se stesso, cui si può e si deve essere assolutamente indifferenti, senza attaccarsi ad alcunché nel mondo.116

L'insegnamento del Buddha, in sintesi, è diretto al conseguimento di una liberazione dal samsara117, di una "cessazione della sete di vita", di un distacco che conduce al nirvana118, cioè alla condizione della mente illuminata, alla più alta esperienza spirituale:

Ciò che non ha nascita, ciò che non invecchia e non decade, ciò che non muore, ciò che è senza dolore, ciò che è puro, totalmente libero da vincoli: il nirvana.119

E colui che raggiunge il nirvana fin da questa vita è l'arhat, l'uomo che si è liberato da tutti i legami e da tutte le passioni, che ha svuotato120 la mente da tutte le illusioni e che, pertanto, non avrà più bisogno di nascere di nuovo.

Seppur con notevoli distinzioni di ordine teologico, ritroviamo comunque delle notevoli somiglianze tra il pensiero eckhartiano e quello buddista, come lo stesso Schopenhauer rilevava:

Se ci allontaniamo dalle forme prodotte, dalle circostanze contingenti, ed andiamo verso il nucleo delle cose, troveremo che Sakyamuni [Buddha] e Meister Eckhart insegnano la stessa cosa; soltanto che il primo osa esprimere le sue idee in modo semplice e affermativo, mentre Eckhart è obbligato a racchiuderle nei vestiti del mito Cristiano, e deve adattare le sue espressioni di conseguenza.121

Per sottolineare solo alcune di quelle somiglianze, basti ricordare che il concetto stesso di "fare il vuoto" accomuna moltissimo il buddhismo alla mistica eckhartiana, in cui troviamo spesso concetti come "diventare nulla è diventare Dio".

Ma ovviamente, la miglior consonanza tra queste due grandi visioni mistiche e filosofiche la troviamo nel concetto stesso del "distacco", che, nel buddhismo, scopriamo orientato verso il nirvana, mentre in Eckhart, verso l'unione con Dio, il Logos, esperienza dello spirito nello Spirito.

Sebbene la mistica buddhista, che non fa mai alcun riferimento a un Dio, sia ovviamente diversa da quella fondata su basi neotestamentarie di Eckhart, non sfugge tuttavia allo studioso la profonda religiosità che pervade tutto l'insegnamento del Buddha e che merita lo stesso rispetto di quella del grande mistico tedesco:

Il buddhismo e in particolare lo Zen sono la via religiosa che non nomina Dio come persona, ma concentra il suo cammino verso la natura autentica, quindi divina, che sostiene tutto ciò che esiste. È il cammino religioso che le religioni cosiddette monoteistiche, concentrate sull'aspetto personale della divinità non hanno percorso ... Il Buddhismo è la religione che venera la natura divina dell'esistente, come nessun'altra, molto più radicalmente che le religioni animistiche o naturalistiche.122

Così come grande rispetto certamente merita il messaggio di tolleranza che ci proviene dall'insegnamento del Buddha, un insegnamento che, paradossalmente, non ha nessuna dottrina da insegnare e da affermare:

Credere in una dottrina significa perdere la libertà. Diventando dogmatici, si pensa che la propria dottrina sia l'unica giusta e si accusano le altre di eresia. Dalla ristrettezza di vedute nascono dispute e conflitti capaci di espandersi all'infinito, non solo sprecando tempo prezioso, ma provocando a volte una guerra. L'attaccamento alle opinioni è il massimo ostacolo al sentiero spirituale. Legandoci a opinioni ristrette, ne veniamo irretiti a tal punto che chiudiamo la porta alla verità.123

continua con la quarta parte...


Note:

72 Dal greco mystikós 'relativo ai misteri': dottrina e pratica religiosa aventi lo scopo di realizzare un diretto contatto o una comunione dell'uomo con il divino.
73 Queste sono in pratica ciò che molto più tardi Nietzsche chiamerà "la volontà di potenza".
74 In tedesco "grund": fondo, ma anche fondamento, motivo, causa.
75 Attenzione: la distinzione tra essenza, o fondo, dell'anima e potenze dell'anima non impedisce però l'unità dell'anima. Per Eckhart non vi sono due anime o due parti dell'anima: l'unità dell'anima sta nel fatto che le potenze traggono origine dall'essenza dell'anima. Nel suo fondo non operano più le potenze dell'anima, bensì Dio stesso e solo Dio stesso, come spiegato subito appresso.
76 San Paolo, Lettera ai Galati, 2,20.
77 Il punto di partenza della mistica di Eckhart è indubbiamente il vangelo di Giovanni, che
ricordiamo è l'unico testo evangelico in cui all'uomo storico Gesù è dato il titolo di Dio ed è anche quello in cui compare la nozione di Dio non come ente, il biblico Jahvè, ma come Spirito, che è presente in ogni uomo innovato, in ogni "amico" di Cristo. Cfr. Marco Vannini, La mistica delle grandi religioni, Mondadori, 2004, pag. 270.
78 Dal Sermone In Diebus suis, Eckhart.
79 Per approfondimenti: Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, Le Lettere, 2007; Marco Vannini, La Morte dell'Anima, dalla mistica alla psicologia, Le Lettere, 2003; Marco Vannini, Mistica e filosofia, Le Lettere, 2007.
80 Per psichismo si intende tutto quell'insieme di attività psichiche che si svolgono
indipendentemente dalla coscienza, come quelle attribuibili agli animali.
81 Si riafferma in Eckhart la nozione di Dio come Spirito, non un oggetto o un ente. Come diceva Giovanni, non si adora né nei templi né sui monti (Gv, 4, 22).
82 Cicerone, Tusculanae III,6.
83 Per approfondimenti: Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, Le Lettere, 2007.
84 Da La Religione della ragione, Marco Vannini, Bruno Mondadori, 2007.
85 Cfr. Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, Le Lettere, 2007.
86 Per religione infatti si intende comunemente il fenomeno sociale; per religiosità il fenomeno individuale. La religione è un fatto oggettivo perché riguarda un oggetto sociale; la religiosità è un fatto soggettivo perché riguarda un soggetto. Cfr. Antonello Mela, Religione e religiosità nella società dei bisogni virtuali, Università degli Studi di Sassari, 1997-98.
87 Cfr. Andrea Del Col, L'Inquisizione in Italia, dal XII al XXI secolo, Oscar Mondadori, 2006
88 Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, II a e q. XI, a.3.
89 Nel 1326, la lista di 49 imputazioni emesse dalla Santa Inquisizione a carico di Eckhart viene ridotta a 28. Di queste, il 23 marzo 1329, 17 sono ritenute eretiche dalla bolla papale In agro dominico. Delle altre 11 è comunque criticata la lettera, in quanto avrebbero dato adito a fraintendimenti.
90 Extra Ecclesiam nulla salus: al di fuori della Chiesa non vi è salvezza. È una celebre frase latina, attribuita impropriamente a San Cipriano: definisce la necessità del fedele che voglia guadagnare la salvezza nella vita eterna, di restare in seno alla Chiesa cristiana.
91 Ordine militare-religioso del Tempio, fondato nel 1119, che si proponeva la guerra contro gli infedeli e la difesa del Santo Sepolcro. Dopo le decisioni prese a Vienne, fu bruciato sul rogo il capo dell'ordine, Jacques de Molay, il 18 marzo dell'anno 1314 e più di 2000 Templari furono mandati a morte sulla base di false confessioni estorte con la tortura.
92 Si veda anche la nota 59.
93 Per approfondimenti su questo processo di progressiva estinzione della concezione mistica dell'anima umana e la conseguente nascita delle concezioni psicologiche laiche nel periodo illuministico, si veda: Marco Vannini, La morte dell'anima. Dalla mistica alla psicologia, Le Lettere, 2003.
94 Psicologismo è la tendenza a porre la psicologia a fondamento della filosofia.
95 Per approfondimenti cfr. Marco Vannini, La Morte dell'Anima, dalla mistica alla psicologia, Le Lettere, 2003.
96 I Veda si dividono in 4 gruppi principali, in ordine cronologico: 1) I più antichi, raccolti in tre collezioni: a) Rigveda, inni rivolti alle divinità; b) Yajurveda, formule liturgiche; c) Samaveda, inni accompagnati da melodie. 2) I Brahmana (circa X secolo a.C.), testi riguardanti il Brahman. 3) Aranyaka, opere esoteriche note anche come i "testi della foresta". 4) Upanishad (circa VI secolo a.C.), riguardanti l'identità tra atman e Brahman. Esse costituiscono il cosiddetto Vedanta, ovvero "conclusione dei Veda".
97 Per approfondimenti: G. Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di storia
delle religioni
, Editori Laterza, 2001; Marco Vannini, La mistica delle grandi religioni, Mondadori, 2004.
98 Da Brhad-aranyaka-upanishad, IV, 4, 25.
99 Da Brhad-aranyaka-upanishad, I, 4, 10.
100 Meister Eckhart, Sermone 7, Populi eius.
101 Meister Eckhart, Sermone 6, Iusti vivent in Aeternum.
102 Cfr. il mito della biga alata di Platone, pagina 7 del presente saggio.
103 Bhagavad Gita, 2, 12.
104 Bhagavad Gita, 2, 16.
105 Bhagavad Gita, 2, 17.
106 Bhakti, derivato dalla radice bhaj, 'condividere'; per estensione il tipo di devozione che fa partecipare il fedele al divino, gli fa cioè condividere l'essenza della divinità.
107 Karma, termine sanscrito, propriamente 'opera', dal verbo kenoti 'fare': nelle religioni indiane è il peso delle azioni, delle opere, buone e cattive, anche appartenenti alle vite precedenti, che determinano la continua reincarnazione e, conseguentemente, il dolore di vivere prigionieri in corpi di carne.
108 Yoga, voce sanscrita, propriamente 'unione', dal verbo yunakti 'congiunge', di origine indeuropea, come il latino iungere 'porre al giogo': è il sistema filosofico-religioso dell'India antica, che aspira alla mistica unione della propria essenza con l'Essere Supremo, attraverso una tecnica propedeutica di dominio del corpo e dei sensi, con acquisizione di facoltà eccezionali e con potenziamento dei poteri paranormali. (Da Il Nuovo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli).
109 Per approfondimenti: Marco Vannini, La mistica delle grandi religioni, Mondadori, 2004.
110 Per approfondimenti: Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, Le Lettere, 2007.
111 Cfr. Agostino, In Epistulam Ioannis, 2.
112 Bhagavad Gita, 2, 70-72.
113 Cfr. Meister Eckhart, I Sermoni, sermone 83, Non sunt condignae.
114 Giovanni della Croce, Detti di luce e d'amore, 26.
115 Bodhi sta a significare all'origine 'illuminazione', 'sapienza'. Poi Bodhi assunse anche il significato di 'colui che ha raggiunto perfezione etica ed intellettuale con mezzi umani', cioè il
Buddha, 'il risvegliato', dalla radice budh, 'risvegliarsi, conoscere'.
116 Cfr. Marco Vannini, La mistica delle grandi religioni, Mondadori, 2004, pag. 121.
117 Samsara ha sostanzialmente lo stesso significato sia nel buddismo che nell'induismo: è il ciclo delle rinascite o della trasmigrazione.
118 Nirvana, etimologicamente: 'estinzione, cessazione'.
119 Dal Majjhimanikaya, raccolta dei testi medi (152 sutra - aforismi), contenuti nel Canone buddista Pali.
120 Per il buddismo, si può attuare l'estinzione dell'illusione e quindi il raggiungimento del
nirvana, solo attraverso l'esperienza del "vuoto" (sunya), abbandonando cioè ogni idea di luogo, di spazio, di tempo.
121 Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione.
122 Cfr. E. Doghen, La natura autentica, Edizioni EDB.
123 Cfr. Thich Nhat Hanh, Vita di Siddharta il Buddha, narrata e ricostruita in base ai testi
canonici pali e cinesi
, ed. it., Ubaldini, Roma 1992.