sabato 19 luglio 2008

Filosofia e Religiosità di Scientology - Parte prima

Filosofia e Religiosità di Scientology
di Gabriele Segalla

INTRODUZIONE

L. Ron Hubbard attribuisce alla filosofia un ruolo primario nello studio dei principi che stanno alla base della natura spirituale dell'uomo. Dal greco phìlos - amico e sophìa - saggezza, filosofia è:


Amore o ricerca della saggezza oppure ricerca dei principi e delle cause che stanno alla base della realtà.1

Il filosofo francese Henri Bergson, premio nobel per la letteratura nel 1927, rivolgendosi a degli studenti spagnoli nel 1916 affermò:

Come io la intendo, la filosofia esige ... che non ci si ritragga mai di fronte allo studio di un oggetto nuovo, e persino di una nuova scienza. A mio vedere, il filosofo è innanzitutto un uomo, che è sempre pronto, a qualsiasi età, a rifarsi studente.2

Il filosofo e pedagogista americano John Dewey affermava: "La filosofia riacquista la sua vera natura allorché smette di essere uno strumento che si occupa dei problemi dei filosofi e inizia a diventare un metodo - coltivato dai filosofi - per occuparsi dei problemi degli uomini". Analogamente, nell'articolo intitolato La mia filosofia, Hubbard scrive:

Tutto quel che sappiamo in materia di scienza o di religione ci viene dalla filosofia. Essa è alla base ed al vertice di qualsiasi altra forma di conoscenza che possediamo o che utilizziamo. A lungo considerata argomento per intellettuali, confinata nelle aule del sapere, la filosofia è rimasta in larga misura inaccessibile all'uomo della strada. Circondata dall'impenetrabile scorza protettiva dell'erudizione, essa è stata prerogativa di pochi privilegiati. Il principio cardine della mia filosofia è che la saggezza è destinata a chiunque desideri raggiungerla. È al tempo stesso servitrice dell'uomo comune e dei re, e non dovrebbe mai essere guardata con timore reverenziale.3

In un altro scritto, intitolato Che cosa significa essere uno scientologo, del 1968, Hubbard afferma:

Se osservate attentamente i filosofi greci ..., scoprirete che le speranze e le aspirazioni che abbiamo in Scientology sono molto simili alle loro. Noi lottiamo per le stesse cose per cui essi hanno lottato, per le cose che essi hanno cercato di raggiungere nella vita. Apparteniamo alla migliore tradizione della filosofia dell'uomo per quanto riguarda l'argomento uomo... I primi filosofi cercavano di sviscerare alcuni dei dati fondamentali relativi all'universo e di capirli. Cercavano di mettere insieme le cose. In realtà noi stiamo lavorando in successione diretta, molto diretta, da una posizione collocabile in un arco di tempo di circa 2500-3000 anni di quella che è considerata la filosofia formale ...

I primi quesiti filosofici che l'uomo si è posto sono stati proprio quelli relativi alla sua natura, alle sue origini ed ai suoi fini. Perché c'è "qualcosa" e non il nulla? Chi siamo? Siamo fatti solo di materia organica o siamo anche dotati di un'essenza spirituale? E se quest'essenza, questa "cosa" che comunemente chiamiamo "anima" esiste veramente, qual è la sua natura ? Qual è la sua relazione o il suo legame con il corpo ? Quali sono i suoi fini ultimi? E qual è la sua relazione o il suo legame con quell'altro "concetto" che chiamiamo, l'Uno, l'Eterno, l'Assoluto, Dio?

È bene innanzitutto puntualizzare che quello di anima è un concetto precedente allo sviluppo della religione ebraico-cristiana e presente in molti culti politeistici, nel pensiero mitologico e nelle più antiche civiltà, ad esempio presso gli Egizi, come dimostrato dai loro riti funerari e dalla loro concezione della vita dopo la morte.

Ma, almeno per quanto riguarda lo sviluppo culturale occidentale, è in Grecia che il concetto di anima è stato per la prima volta profondamente indagato, studiato ed elaborato in termini filosofici. E fin dall'inizio della sua storia in Grecia, il concetto di anima è stato intimamente e profondamente unito a quello della divinità, come traspare chiaramente, ad esempio, nella stessa filosofia platonica, in cui l'anima umana era ritenuta cosa divina.4

ETIMOLOGIA DEI TERMINI PIÙ COMUNEMENTE USATI IN FILOSOFIA PER ESPRIMERE IL CONCETTO DI SPIRITO O ANIMA.

Le radici etimologiche del termine anima ci conducono al greco anemos, ‘vento', ‘soffio'. Il termine anemos a sua volta deriva dalla voce sanscrita5 aniti, ‘egli soffia'. Lo stesso termine induista o buddista atman ha alla base la nozione di respiro, di aria, tant'è vero che lo ritroviamo nel nostro termine ‘atmosfera' e nel tedesco atmen, ‘respirare'.

Anche il suo sinonimo italiano spirito ha un significato etimologico assai simile: dal latino spiritus, ‘respiro, vento, soffio'.

Un altro termine greco comunemente usato per esprimere la nozione di anima è psiche dal greco psychein, ‘soffiare'.

In greco, il termine psyche è usato con il significato di anima ma anche di "farfalla", una creatura cioè che subisce una metamorfosi, abbandonando un corpo larvale, imperfetto (la crisalide), e diventando una creatura compiuta, alata, libera. Non a caso, Dante definiva l'anima come "l'angelica farfalla": "Non v'accorgete voi che noi siam vermi - nati a formar l'angelica farfalla, - che vola alla giustizia sanza schermi ?".6

Un altro termine utilizzato per esprimere il concetto di anima è il termine greco pneuma, stante a significare originariamente ‘aria, soffio, respiro, spirito, vita'.

Rileviamo dunque che la nozione di anima è sempre collegata originariamente all'idea di respiro, di soffio o, in generale, di aria; cioè qualcosa che c'è ma non si vede, qualcosa di inafferrabile, impalpabile, sfuggente.

Da cui, ad esempio, l'espressione "esalare l'ultimo respiro", oppure l'immagine del "soffio vitale" che Dio infonde all'uomo nel momento della creazione e che incontriamo nel primo libro della Bibbia, la Genesi.

L'anima viene pressoché sempre rappresentata, nelle varie culture occidentali, come un'entità leggera, eterea, incorporea, una miniatura della persona, spesso dotata di ali che, nel momento della morte, vola verso l'alto o viene condotta in cielo da angeli premurosi.

LE PRINCIPALI CONTROVERSIE SUL CONCETTO DI ANIMA E IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DI "SOSTANZA"

Le principali controversie sul concetto di anima, per cui sono stati versati, oltre che fiumi di inchiostro, anche fiumi di sangue, sono state principalmente tre:

  1. È sostanza?
  2. È immortale o mortale ?
  3. È individuale o universale ?7

La parola sostanza deriva dal latino substantia, 'essenza', derivato di substare, 'stare sotto', propriamente "ciò che sta sotto (alla realtà visibile, all'apparenza)".

"Ciò che è stabile e duraturo in un oggetto (distinto da ciò che è accessorio, contingente); quella parte di un oggetto che non muta anche quando i suoi aspetti meno rilevanti cambiano ".

È Aristotele il filosofo che per primo esaminò in termini molto rigorosi la nozione di sostanza, sviluppando quella che è chiamata addirittura la dottrina della sostanza.

Ai nostri fini, tuttavia, basti ricordare che il senso ultimo del termine sostanza è facilmente intuibile perché esprime ciò che, nel linguaggio comune, si dice "essenza" di qualcosa.

L'essenza è ciò che fa essere qualcosa quello che è. Ciò che, ad esempio, fa sì che un cane sia un cane e non altro, o che un triangolo sia un triangolo e non altro, o che una pietra sia una pietra e non altro.

Per sostanza, in altre parole, si intende ciò che è "causa sui" (causa di se stesso), ovvero ha la causa di sé in se stesso e non in qualcos'altro. Sostanza è ciò che non ha bisogno di null'altro per esistere. È causa sufficiente di se stesso.

In conclusione, per semplificare, quando si dice che l'anima è o non è una "sostanza", si intende affermare che l'anima è o non è una realtà a sé.

Esempio: Se noi affermassimo che un'anima è separabile dal corpo ed indipendente dal corpo, ciò sarebbe equivalente ad affermare che essa è una realtà a sé, che può esistere separatamente da tutto il resto; ebbene, in tal caso, saremmo filosoficamente legittimati ad affermare che l'anima è sostanza.

Se noi invece affermassimo che l'anima non può esistere separatamente, ma esiste in relazione a un'altra realtà, ad esempio quella del corpo, ebbene in tal caso, diremmo che l'anima non è sostanza. Ha bisogno di qualcos'altro per essere definita. Sarà una parte, sarà un principio, sarà un accidente, sarà un attributo, sarà una funzione del corpo, sarà quello che volete, ma non sarà una sostanza a sé, in quanto non può sussistere senza il corpo. Ha bisogno della realtà corporea per essere definita.

Vedremo comunque meglio in seguito entrambe queste concezioni (anima sostanza e anima non-sostanza) e da chi sono state principalmente concepite e sviluppate in termini filosofici e teologici.

PLATONE (427-347 a.C.)

Platone è stato definito il "maestro greco dell'anima". A Platone si deve la prima trattazione del mondo soprasensibile o "mondo delle idee" ed a lui si deve la prima concezione spiritualistica e filosofica dell'anima come sostanza immateriale, semplice ed immortale, distinta nettamente dalla realtà corporea.

Che cos'è l'anima per Platone?

L'anima è ciò che si muove da sé. Ogni corpo che si muove di per sé dal di dentro è animato: questa è la natura dell'anima.8

Un sasso non si muove di per sé, bisogna che io gli dia un calcio perché esso si muova. Ma una farfalla, ad esempio, si muove di per sé, quindi è un essere "animato", dotato cioè di anima.

Non si può curare l'uomo nella sua interezza senza curare anche l'anima. Platone dice con grande fermezza che molti dei mali del corpo si possono curare solo curando i mali dell'anima. L'uomo deve, secondo Platone, accordare l'armonia del corpo con quella dell'anima.

"L'anima è una realtà individuale, unita al corpo che la ospita, ma da questo separabile" e quindi, per la definizione di sostanza sopra esposta, l'anima, per Platone, è sostanza. Sostanza capace di trascendere il corpo stesso. Platone sottolinea fortemente questo aspetto della separabilità dell'anima dal corpo.

Nell'uomo essa è la parte più nobile, l'unica capace di conoscere, ossia di cogliere i significati veri delle cose (le idee eterne e universali), capace cioè di comprendere il mondo delle idee, che è poi, per Platone, la vera realtà universale, distinta da quella illusoria dell'universo fisico che percepiamo comunemente.

Durante il tempo che trascorre libera dalla materia, fra una reincarnazione e l'altra, l'anima ha la possibilità di una diretta conoscenza del mondo soprannaturale, apprendendo così la vera realtà del mondo delle idee.

È un'entità immortale ma non personale9 (come vorrà invece il Cristianesimo più tardi), poiché, nel corso della sua esistenza, essa aderisce non ad una sola persona, ad un solo individuo, ma a innumerevoli.

Potrebbe ad esempio aderire, in una vita, al corpo, cioè alla "persona", di un cavernicolo e poi, in una vita successiva, al corpo di un barcaiolo, e poi di un lottatore, e poi di un filosofo, e così via.

Nel Fedone, Platone afferma che la morte non è una rovina, ma una liberazione, perché con la morte l'anima può finalmente spezzare i legami che la tengono prigioniera della materia corporea. L'anima infatti è "inchiodata al corpo attraverso i chiodi del piacere e del dolore, capaci di saldarla ad esso fino a farla diventare corporea".

L'anima, essendo in grado di conoscere le idee, che sono eterne ed immutabili, è necessariamente simile al divino ed all'immortale.

A questo proposito è doveroso ricordare che Platone fu il primo filosofo a coniare il termine "teologia", da theos, dio e da logos scienza, conoscenza, discorrere: scienza e studio della natura di Dio. Platone afferma che di Dio possiamo solo sapere e dire ciò che è sommamente giusto, e in nessun modo ingiusto, per cui da lui possono giungere solo beni. Tutto il resto è mitologia e menzogna.10

Nel Fedro, Platone illustra la sua concezione dell'anima umana con il mito della biga alata. Descrivere completamente l'anima sarebbe impresa divina, afferma il filosofo, ma possiamo fare un tentativo:

Possiamo pensare l'anima come una biga alata, composta da due cavalli, uno bianco ed uno nero, e un auriga. L'auriga rappresenta il Nous, la mente, la ragione, la parte intellettiva, a cui spetta il compito di governare la biga; il cavallo bianco la tendenza verso la spiritualità (cioè le passioni cosiddette nobili, come il coraggio e lo sdegno); ed il cavallo nero la tendenza alla materialità (le passioni meno nobili, prima fra tutte la concupiscenza).

La biga è alata perché percorre un cammino celeste, che la conduce verso la pianura della verità.

L'anima che ha contemplato il mondo delle idee più a lungo (dotata di un cavallo bianco più forte) darà luogo, incarnandosi, alla figura di un saggio; viceversa, dalle anime che hanno potuto osservare di meno (con un cavallo nero più forte, più scalpitante, più riottoso) si svilupperanno uomini sempre più negativi e degradati.

Platone dunque sostiene l'aspetto innatistico delle qualità umane: gli uomini migliori sono tali fin dalla nascita. La qualità superiore di alcuni esseri umani dipende dalle virtù della loro anima nelle vite precedenti.

Il mito suggerisce inoltre la possibilità di un premio (o di un castigo): questo circolo virtuoso ha come premio finale la possibilità per l'anima di sfuggire al ciclo delle reincarnazioni. La sua è dunque un'unione accidentale con il corpo, così come accade ad un nocchiero che, pur essendo legato alla propria nave, ne è distinto e superiore.

Per Platone dunque la vera realtà dell'uomo risiede nella sua anima, di cui il corpo è solo un "carcere".

La rinascita in un corpo umano implica l'oblio delle idee eterne. L'anima, al momento del parto, beve l'acqua del fiume Lete11, che offusca la coscienza.

La verità tuttavia non è persa per sempre; sopravvive nelle profondità dell'anima e può essere ricordata tramite la percezione. In questo ricordo (in greco anamnesi) consiste la conoscenza12. Conoscere è dunque equivalente ad un ricordare.

Nel suo viaggio nel mondo iperuranico13, l'anima ha conosciuto le idee, ma, incarnandosi in un nuovo corpo, le ha dimenticate. E ora, le va poco per volta riscoprendo, ricordando, stimolata dalla sensazione e spinta dall'amore (cioè dal desiderio di bellezza).

La conoscenza dunque deriva non dall'esperienza, ma da un sapere preesistente, prenatale, e connaturato all'intelletto. Lo strumento con il quale l'uomo conosce è l'anima.

La teoria della reminiscenza di Platone dunque spiega la capacità della ragione umana di giungere a verità universali. Così, ad esempio, lo schiavo Menone, del tutto ignorante di matematica, giunge alla dimostrazione del teorema di Pitagora, col solo aiuto di Socrate, che lo stimola a "ricordare" principi geometrici che egli di certo non aveva mai appreso in precedenza, in questa vita.

Nella filosofia platonica troviamo uno stretto legame tra il piano conoscitivo e il piano etico, l'idea cioè che la conoscenza sia connessa ad un processo di ascesi morale: per Platone infatti "verità e virtù sono l'alimento dell'anima".

Aspetti di queste dottrine platoniche si troveranno in seguito anche nella filosofia cristiana e in particolare, come meglio vedremo più avanti, in Sant'Agostino (354-430 d.C.), che considererà le idee come modelli eterni delle cose sensibili, da collocarsi però non nell'iperuranio ma all'interno della divinità (esse saranno identificate da Agostino con la seconda persona della Trinità, cioè il Verbo, il Logos).

E ovviamente si trovano ulteriori interpretazioni ed elaborazioni della filosofia platonica nel neoplatonismo (Plotino 203-270), in cui verrà comunque maggiormente privilegiata e sviluppata la componente mistica e spiritualistica rispetto a quella razionale. Rimandi diretti al pensiero di Platone si troveranno ancora in filosofi moderni come Kant, Hegel, Schopenhauer, ecc.

ARISTOTELE (384 - 322 a.C.)

Ma un discepolo di Platone, Aristotele, considerato uno dei più grandi filosofi che siano mai esistiti, sviluppò una concezione dell'anima opposta, per certi versi, a quella platonica. Egli, partendo dalla critica della concezione spiritualistica del suo maestro, elaborò una teoria della conoscenza totalmente nuova, basata sull'osservazione empirica, sull'esperienza e non più sulle astrazioni del mondo delle idee.

Mentre per Platone l'anima era una realtà individuale, quindi una sostanza a sé, separabile dal corpo, per Aristotele l'anima non è sostanza, non designa una realtà a parte, distinta dal corpo, ma al contrario, l'anima è la "forma" del corpo.

Per forma (morphè) si deve intendere non l'aspetto esteriore, ma la sua logica interna, la spinta dinamica che realizza la sua potenzialità, il principio vitale che ne determina la struttura e il movimento, come cercheremo di spiegare qui appresso.

Vediamo di schematizzare questo concetto aristotelico, certamente non di facile ed immediata comprensione:

Con l'asserzione che l'anima sia la forma del corpo si intende che essa è "forma incorporata nella materia", o, in altre parole, ciò che organizza la materia informe allo scopo appunto di darle una forma, di rendere cioè possibili le funzioni vitali del corpo ed ottenere così il sinolo14 uomo: risultato appunto dell'unione di anima e corpo, di forma e materia.

L'anima è dunque per Aristotele un principio che "informa", vivifica un determinato corpo.

Conseguentemente, corpo ed anima formano, per Aristotele, un'unità indissolubile. E per la prima volta Aristotele pone anche il corpo nella definizione dell'anima.

La forma non è l'aspetto esteriore di un sinolo, ma l'intera struttura che lo fa essere quello che è. Un uomo è tale solo per la sua forma, così come una candela è tale solo per la sua forma indipendentemente dalla materia di cui è composta.

Non ci si deve chiedere se l'anima e il corpo siano un'unità, più di quanto lo si chieda nel caso della cera e della forma che essa assume ...15.

Se non ci fosse l'anima che è la forma, il principio costitutivo, anche il corpo non esisterebbe in senso stretto, ma sarebbe solo un ammasso organico insignificante16.

Possedere un'anima vuol dire dunque, per Aristotele, possedere un'abilità. Come ogni strumento ha una sua funzione, che è l'atto o attività dello strumento (come, ad esempio, funzione del coltello è quella di tagliare, funzione del piede è camminare, funzione dell'occhio è vedere), così il corpo, in quanto strumento, ha come sua funzione quella di vivere e di pensare.

L'anima sta al corpo come l'atto della visione sta all'organo visivo. Non ci può essere corpo vivo senza anima, così come non ci può essere anima senza corpo vivo.

L'anima non è altro che l'insieme delle "capacità" di vivere del corpo. Ecco dunque che, in sintesi, per Aristotele la psicologia (lo studio dell'anima) è equivalente alla fisiologia (lo studio cioè delle funzioni corporee), posto che l'anima e le sue parti non sono altro che capacità fisiche.

Possedere un'anima vuol dire dunque possedere un'abilità. Essere animato significa essere un corpo con certe capacità (ad esempio capacità di muoversi, di percepire attraverso i sensi, di pensare e coordinare il proprio movimento con il pensiero, ecc.).

Per conseguenza, l'anima, in quanto forma del corpo, non può sopravvivere al corpo, cui è così intimamente connessa da formarne un unicum (unità), un sinolo appunto.

L'anima non può esistere separatamente dal corpo, più di quanto un'abilità possa esistere separatamente dall'uomo che la possiede. Semplicemente, per Aristotele, l'anima non è un genere di cose che potrebbe sopravvivere. Come potrebbero infatti le mie abilità, il mio temperamento o il mio carattere sopravvivermi ? Come potrebbe il camminare sopravvivere al mio piede ? O come potrebbe il vedere sopravvivere al mio occhio ?

LA CRUCIALE "CONTRADDIZIONE" ARISTOTELICA: L'INTELLETTO ATTIVO

Aristotele tuttavia, nella sua concezione dell'anima umana, intesa come forma del corpo e quindi vincolata indissolubilmente al corpo, scivola in una specie di contraddizione, un'illogicità, un'antinomia veramente sorprendente (considerando soprattutto che proviene da colui che è stato definito il padre della logica).

Esiste per Aristotele una "parte" dell'anima (o forse sarebbe meglio dire addirittura un'altra anima ?), che egli chiama "intelletto attivo"17, un intelletto non mescolato con il corpo, separabile dal corpo, pensiero puro, che rappresenterebbe il pensiero vero e proprio, la funzione intellettiva ed attiva dell'anima.

E questa funzione intellettiva ed attiva dell'anima (a differenza di quella precedentemente esaminata e descritta come forma del corpo) è disgiunta, "separabile" dal corpo, tant'è che in essa si manifestano caratteristiche divine:

... Solo il pensiero proviene dall'esterno. E solo esso è divino; infatti l'attività corporea non ha nulla in comune con l'attività del pensiero"18. "... ed esso solo è immortale ed eterno19.

Ciò è in netto e palese contrasto con quanto precedentemente asserito a proposito dell'anima intesa come forma del corpo, funzione cioè del corpo così come il camminare è funzione del piede o il vedere è funzione dell'occhio e pertanto non sopravvivente al corpo così come il camminare non può sopravvivere al piede o il vedere non può sopravvivere all'occhio, ecc. ecc.

La trattazione di Aristotele su ciò che egli chiama intelletto attivo appare in effetti contraddittoria e inconciliabile con tutta la sua psicologia precedente. Se l'intelletto attivo sia dell'uomo, di Dio o di entrambi, se sia un'anima universale o meno, quale sia il significato di quella separabilità che Aristotele gli attribuisce, sono problemi che egli non si è proposti e che saranno a lungo dibattuti nella scolastica araba20 e cristiana, e nel Rinascimento21.

Giustamente un critico dell'antichità22 lo accusò con le parole:

[Aristotele] avvolge la difficoltà dell'oggetto con l'oscurità del linguaggio, mettendosi così al riparo da confutazioni, producendo oscurità, come un calamaro, per rendere più difficile la sua cattura.

Approfondendo tuttavia la contraddittoria teoria aristotelica dell'anima (e soprattutto le sue conseguenze storico-filosofiche), ci si accorge che essa è stata tanto equivoca sul piano logico, quanto cruciale e determinante sul piano storico. Proprio l'oscurità e l'incongruenza di questa trattazione infatti permetterà quella sufficiente adattabilità e compatibilità del pensiero aristotelico con il pensiero teologico medioevale cristiano, soprattutto in merito alla altrettanto oscura questione dell'immortalità dell'anima, sviluppata, su basi squisitamente aristoteliche, da San Tommaso d'Aquino nel XIII secolo. Questi infatti, permeando magistralmente la lacunosità del pensiero aristotelico, riuscirà a delineare e strutturare filosoficamente i principi della dottrina cattolica dell'anima, integrandoli sia con le Sacre Scritture sia con l'autorevole filosofia aristotelica. La mirabile sintesi biblico-aristotelica che ne derivò venne consacrata, come vedremo meglio più avanti, dottrina ufficiale della Chiesa cattolica23.

LA SCUOLA DI ATENE

Nell'affresco "la scuola d'Atene" (1509), nella stanza della Segnatura dei Palazzi Vaticani, Raffaello sintetizzò le due tradizioni del pensiero filosofico, il platonismo e l'aristotelismo, ritraendo i due maestri greci in un gesto esemplare.

Platone ed Aristotele, al centro dell'opera, sono le uniche due figure di filosofi rappresentati con il cielo dietro le loro teste, in sottofondo, a significare appunto che essi furono i sommi maestri. Ma non solo ...

Si nota che Platone ha l'indice della mano destra rivolto verso l'alto. A significare con questo gesto uno sviluppo del sapere in senso "verticale", gerarchico, metafisico, spiritualistico, dualistico (ad esempio: l'anima e il corpo, il mondo materiale ed il mondo delle idee, il bene ed il male, il cavallo bianco ed il cavallo nero).

La mano destra di Aristotele è invece rivolta in senso orizzontale volendo così esprimere, in contrapposizione a quello platonico, uno sviluppo del sapere in senso orizzontale, laico - scientifico, naturalistico, terreno, monistico (non dualistico).24

Si sottintende così che, seppur con una certa semplificazione, tutte le varianti del pensiero filosofico possono essere ricondotte ai due orientamenti fondamentali, simboleggiati dal gesto della mano, verso l'alto di Platone, verso la terra di Aristotele.

Con un'unica grande eccezione, come abbiamo già visto e come vedremo meglio più avanti: la teologia cattolica, che rigettò la teoria platonica dell'anima separabile dal corpo ed accettò la tesi aristotelica dell'anima come forma del corpo, ma comunque in grado, dopo la morte, di sussistere per suo conto, in quanto esercitante operazioni sue proprie, per le quali non ha bisogno di alcun organo corporeo, e dunque in perfetto parallelismo con il nous poieticòs di Aristotele.25

In sintesi e semplificando, per la dottrina cattolica, la teoria orizzontale aristotelica relativa all'anima come forma del corpo vale fino alla morte del corpo, allorché entra in scena, per atto divino, quella verticale, di tipo platonico, dell'intelletto attivo, consentendo così di giustificarne l'immortalità, o meglio la sussistenza fino al giorno del Giudizio.

continua con la seconda parte...


Note:

1 L. Ron Hubbard, Ron's Journal 68.
2 Da Invito al pensiero di Henri Bergson, Carlo Migliaccio, Mursia, 1994.
3 Cfr. L. Ron Hubbard, Una nuova ottica sulla vita, New Era Publications ApS.
4 Ad esempio, nella Repubblica (X,611, E), Platone parla dell'anima come "congenere
(synghenès), consimile al divino, all'immortale, all'eterno".
5 Il sanscrito è un'antica lingua indeuropea, attestata in India a partire dal sec. X a.C. Fu una lingua in uso principalmente presso le persone di elevata cultura.
6 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, X, 125.
7 Cioè ce n'è una per tutti oppure ognuno ne ha una ?
8 Dal Fedro, Platone.
9 Personale nel senso di relativa ad un corpo ed a uno solo, specialmente in quanto
comprendente le peculiarità somatiche individuali di una persona. Dal latino persona, maschera, poi diventata nel linguaggio comune "individuo".
10 Dal Teeteto, dialogo di Platone dedicato alla matematica.
11 In greco Léte ("oblio"), fiume dell'oltretomba al quale, secondo Platone, le anime destinate a entrare in nuovi corpi si abbeveravano per dimenticare la vita passata. Dante (usando la accentazione Letè) denominò così il fiume che cancella il ricordo del peccato. Immaginò che scorresse nel paradiso terrestre e che le sue acque scendessero al centro della terra.
12 Teoria della Reminiscenza.
13 L'iperuranio (da hyper ‘sopra' e ouranios ‘celeste', ‘relativo al cielo') è il luogo al di là del
cielo, in cui Platone colloca il mondo delle idee intese come sostanze immutabili ed eterne.
14 Dal greco synolon, "il tutto insieme", composto di syn, ‘insieme' + hólos, ‘tutto'.
15 Aristotele, De anima.
16 È questa la teoria dell'ilemorfismo, enunciata da Aristotele e più tardi assimilata dalla dottrina cristiana, seppur con modifiche mediate dalla filosofia araba ed ebraica; secondo l'ilemorfismo ogni essere corporeo è costituito da due parti essenziali, la materia (hyle) e la forma (morphè), congiunte in unità.
17 In greco: nous poieticòs.
18 Cfr. Aristotele, Generazione degli animali.
19 Cfr. Aristotele, De anima.
20 Anche nel mondo arabo, analogamente a quanto avvenne per quello cristiano, ci fu in periodo medievale una scolastica, cioè una ricerca similare dell'armonia tra filosofia e religione, tra ragione e verità rivelata nel Corano. I maggiori esponenti della scolastica araba furono Avicenna, Averroè e Al Farabi.
21 Grande importanza ha nella storia della filosofia l'interpretazione della dottrina aristotelica dell'intelletto attivo da parte di Alessandro di Afrodisia (filosofo greco, fine del II e inizio del III sec.), esposta nel Trattato sull'anima (Alessandrismo). Alessandro di Afrodisia identificò l'intelletto attivo, universale e incorruttibile, con Dio stesso, distaccandolo nettamente dall'intelletto individuale umano che, per essere strettamente legato alla struttura dell'organismo, muore col corpo. L'Alessandrismo fu condannato dal V Concilio Lateranense del 1513. Esso ebbe i suoi centri nelle Università di Padova e di Bologna e i suoi maggiori rappresentanti in Pietro Pomponazzi (1462-1525) e Iacopo Zabarella (1533-1589).
22 Attico, citato da Eusebio di Cesarea (265-340), storiografo cristiano, vescovo greco, in
Preparazione al Vangelo.
23 Al solo fine di evidenziare la somiglianza tra il pensiero filosofico aristotelico e quello
teologico cattolico a proposito dell'anima umana, basti qui esaminare quanto contenuto nel
Catechismo della Chiesa Cattolica, parte prima, sezione seconda, capitolo I, paragrafo 6, II,
"Corpore et anima unus" - Unità di anima e di corpo, 365: "L'unità dell'anima e del corpo è così profonda che si deve considerare l'anima come la forma del corpo (Concilio di Vienne, 1312); ciò significa che grazie all'anima spirituale il corpo, composto di materia, è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia nell'uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un'unica natura". E subito dopo, 366: "La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio – non "prodotta" dai genitori – ed è immortale: essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte, e di nuovo si unirà al corpo al momento della risurrezione finale." (grassetti aggiunti, N.d.A.). Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, 2006.
24 È per questo che l'approccio laico - scientifico ha preso, anche in tempi moderni, il nome di "pensiero orizzontale".
25 Cfr. sezione riguardante S. Tommaso d'Aquino.